Un viaggio
desiderato già dall'anno scorso; progettato con gioia fin nei minimi
particolari, perchè fosse l'occasione per vivere un'esperienza di missione
insieme, come coppia.
Un viaggio
sofferto, perchè ci ha letteralmente fatto soffrire la delusione provata nel
vedere tutti i nostri sforzi scontrarsi contro il fallimento. Un imprevisto a
pochi giorni dalla partenza, come un'epidemia di Ebola, e tutto salta, per
paura, prudenza o poca informazione… e tanta confusione in testa e nel cuore!Un viaggio che ci ha fatto crescere: abbiamo provato sulla nostra pelle cosa significa prendere una decisione difficile insieme e condividerla.
Un viaggio che è iniziato quindi un anno fa sebbene siamo partiti fisicamente solo a luglio di quest’anno, quando finalmente ci siamo ritrovati in aeroporto, con le valigie piene, lo zaino in spalla e un desiderio di partire ancora più grande!
E' servito tutto il lungo viaggio in aereo, e la prima notte a Kampala per rendersi conto che finalmente eravamo arrivati. Finalmente in Africa, insieme.
Ma il nostro viaggio non era – allora, e non è nemmeno oggi - che all'inizio. Tante sono infatti le domande, le provocazioni, i pensieri e gli incontri che abbiamo raccolto e accolto in questa esperienza e che possono cambiare il nostro modo di pensare e di vivere oggi.
Un viaggio atteso ma alla fine inaspettato… non è mai stato una conferma di ciò che ci aspettavamo. Pensavamo di partire l’anno scorso, ma così non è stato; pensavamo che ci saremmo potuti spendere per la gente e a volte ci siamo sentiti del tutto inutili; pensavamo anche che sarebbe stato facile inserirsi nella chiesa africana e trovarvi stimoli forti per la nostra preghiera e invece ci sono stati momenti in cui facevamo fatica a pregare. Speravamo, ma non ci aspettavamo, di trovarci così bene nella casa che ci ha ospitato, né pensavamo di poterci sentire così accolti e parte della loro famiglia.
“Dio ti accompagna con i suoi doni,
ma non è mai dove pensiamo debba essere. Ci sorprende e, invitandoci a un nuovo
passo, ci strappa alla tentazione di chiuderci in un luogo (fisico o
metaforico, spaziale o ideale).” (L.Moscatelli)
Ecco uno
degli stimoli più belli della spiritualità missionaria, essere continuamente
chiamati a camminare, a crescere, a sbattere il muso contro le proprie
convinzioni fino a cadere e infine rialzarsi, pronti a compiere un nuovo passo.
In questo
mese ad Aber abbiamo sperimentato la difficoltà di comprendere certi
ragionamenti, certe usanze e ci siamo resi conto di come davvero al mondo non
ci sia un solo modo di pensare, di pregare, non una sola lingua per comunicare
né una sola espressione del volto per dire “sì” o una sola spiegazione per
tutto ciò che accade. Ci siamo sperimentati diversi in mezzo ad un popolo unito
dalla stessa cultura ed abbiamo sentito ogni giorno il peso dello sguardo fisso
della gente sul colore della nostra pelle, sul nostro modo di muoverci e di
parlare, come fossimo un’attrazione irresistibile… (non capita forse qualcosa
di molto simile in italia nei confronti di un immigrato?) . La prima reazione
che è sorta dal sentirsi così diversi è stata una reazione di critica su ciò
che osservavamo non funzionare e su ciò che ci sembrava arretrato e
insostenibile. Ma poi lo stesso occhio critico abbiamo imparato a dirigerlo
anche verso noi stessi e verso quella vita quotidiana in Italia a cui siamo
tanto abituati. Ci siamo accorti così di come per quanto diverse, l’Uganda e
l’Italia siano ugualmente terre di missione, terre in cui alcune cose sono
difficili da accettare, mondi in cui possiamo contribuire con la nostra parte a
costruire qualcosa di bello, mondi che però non possiamo cambiare del tutto. È
stato bello potersi confrontare liberamente con Marco e Mariagrazia riguardo al
loro essere famiglia lì, ad Aber, in questi tre anni, e c’è una frase che ci
sembra calzi a pennello con quello che ci hanno testimoniato: “sii tu il
cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Per quanto molti loro sforzi per
migliorare le cose in ospedale e all’orfanotrofio potranno risultare
insufficienti, per quanto alcune lotte andranno inevitabilmente perdute, la
loro presenza di famiglia ad Aber ha sicuramente la capacità di lasciare un
segno (e non solo in Uganda...).
Concludiamo
con una bella provocazione raccolta da alcuni dei missionari che abbiamo
incontrato: non dobbiamo sentirci noi la soluzione a tutto, ma dobbiamo essere
capaci di fare la nostra parte con la fiducia che non siamo soli a costruire.
Per
curiosare qualche foto potete cliccare qui
Gloria &
Luca
Nessun commento:
Posta un commento