giovedì 22 agosto 2013

Aber - anno II - cinquantasettesima settimana

Ospitalità

“aggiungi un posto a tavola”, “indovina chi viene a cena”, “la pedagogia del vivere con la porta aperta” questi e mille altri modi di dire o teorie sono stati usati per affrontare la tematica dell’ospitalità in diversi periodi e in diversi contesti. Già in passato avevamo sottolineato come i 9 mesi di vita nella comunità di famiglie di Cascina Castellazzo avesse ricoperto un ruolo molto importante nella formazione pre-partenza, ma in questo Agosto ce ne stiamo rendendo particolarmente conto. Agosto, essendo periodo di ferie in Italia, è chiaramente un mese di vai e vieni più intenso ma, in realtà, quella dell’ospitalità è una parte costante e fondamentale della nostra esperienza di missione.  Chiaramente le finalità delle visite della gente che passa sono le più diverse ma il nostro obiettivo ultimo rimane lo stesso: condividere la nostra esperienza cercando di favorire il più possibile l’incontro con l’Africa e, nello specifico, con Aber.
Così si sono succedute persone che avevano i più diversi tipi di rapporti con noi: amici, amici di amici, conoscenti, amici di conoscenti, conoscenti di conoscenti, guests of honor  fino ad arrivare ai perfetti sconosciuti.
C’è da dire che ogni tipo di visita lascia qualcosa. E non è un luogo comune. Sicuramente alcune sono più stancanti, altre più rilassanti ma tutte ti aiutano a riflettere ancora una volta su ciò che stai vivendo e sulle motivazioni che ti spingono a rimanere qui. Inoltre, ti danno comunque la possibilità di vedere le cose con un occhio diverso e di chi, sicuramente, è meno condizionato dalle stanchezze, dalle delusioni o, al contrario, dal coinvolgimento e da alcune presunte certezze frutto dello stare qui da un po’ di tempo.
A parte gli amici e alcuni conoscenti il cui arrivo era preventivato e desiderato, altre persone sono state invece più impreviste! Ecco allora che ti può capitare di ospitare un vescovo a dormire per una notte, oppure gli allenatori dell’Inter, o ancora dieci persone che ti telefonano la mattina informandoti del loro arrivo imminente per visitare l’ospedale e il St.Clare…vuoi non invitarle a rimanere per pranzo? O un altro gruppo che si ferma perché di passaggio per andare a Gulu…benvenuti!
Un episodio curioso è stata la visita di una coppia di Svedesi. Ero in casa quando sento bussare alla porta…vado ad aprire e c’è il cleaner dell’ospedale che invita questa coppia di ragazzi ad entrare in casa nostra e utilizzare il nostro bagno! Nel frattempo arriva Maria Grazia “ciao Mari, non entrare nel bagno in fondo che è occupato da una ragazza svedese!” “ vabbè. Già che siete qui sedetevi un attimo, prendete qualcosa da bere e facciamo due chiacchiere!”
Il flusso di persone è talmente continuo (se, oltre ai bianchi, si considerano anche i locali) che non puoi permetterti di distrarti un attimo… l’altro giorno me ne stavo seduto bello tranquillo sull’uscio di casa dando le spalle alla porta quando sento qualcuno uscire dicendo “grazie, ho finito”…era un uomo sconosciuto che usciva in accappatoio da casa mia!
Fortunatamente la porta aperta oltre a far entrare permette anche di uscire e così lasciatemi ringraziare anche chi, ospite tra le nostre mura o vicino di casa, ha alleggerito la nostra permanenza con babysitteraggi o subendosi i nostri sfoghi e le nostre stanchezze.
E allora che sia “Apwoio bino” oppure “yes you are welcome, come in, the door is open” o ancora “vieni, vieni, la porta è aperta!” la sfida dell’ospitalità è sempre attuale ma forse ne vale la pena perché “alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo” (Eb 13:2)

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