mercoledì 29 gennaio 2014
mercoledì 22 gennaio 2014
Aber - anno III - sedicesima settimana
Alip
Alip
aveva 9 vite come un gatto. Ma l'altra notte s'è giocato anche la
nona.
Alip
aveva 11 anni, una malattia cronica ai reni, una famiglia povera e
disagiata con un padre alcolista, la voglia di vivere e quella strana
incoscienza tipica di quell'età.
Tutti gli
anni più o meno in questo periodo arrivava all'ospedale in
condizioni indescrivibili.
Prima
Caterina, poi io, lo riprendevamo per i capelli e dopo qualche
settimana lo rimandavamo a casa e così via.
Questa
volta non andrà così. Io non l'ho neanche visto. E' arrivato di
sera e la notte stessa è morto. Ma come? Cosa aveva? Cosa è
successo? Perché non avete chiamato il medico quando è stato male?
Continuavo a chiedere la mattina. La risposta: semplicemente è
peggiorato ed è morto. Silenziosamente. Senza disturbare. Senza
dover chiamare un dottore, senza dover dare una terapia d'emergenza o
fare una rianimazione. E' morto.
Questa
risposta vale in Africa, o almeno ad Aber. Questa risposta è
sufficiente. Non lascia nessuno insoddisfatto.
Neanche
me. Ma a me lascia il vuoto. Il vuoto che ha lasciato un ragazzino di
11 anni nella sua famiglia, per quanto scombinata, nel compound, nel
villaggio. In quel gruppo di 20 o 30 scalmanati che bigiano la scuola
e vanno a fare il bagno al fiume o si arrampicano sui manghi è
rimasto quel vuoto pneumatico che ha lasciato la risposta delle mie
infermiere nel mio stomaco.
Le mie
infermiere di quella notte sapevano che potevano chiamare il medico.
Sapevano che dovevano farlo. Ma non hanno voluto farlo. Non perché
sono cattive o menefreghiste. Non c'è nessun giudizio etico in
queste osservazioni. Di fatto il perché non va cercato in Africa.
Mai. Porta lungo chine pericolose.
Quella
africana non è la filosofia dei perché. Davanti al mio incalzare di
domande che seguono un inesorabile filo logico aristotelico non sono
mai riuscita ad ottenere risposte. Non so se per l'eloquenza della
mia retorica o per la totale mancanza di significato alle loro
orecchie.
Non è
ancora questo il vuoto più inaccettabile. Ma quello che separa
questo mondo da quello che pensa che in questo stesso spazio e tempo
si possa mettere un laboratorio analisi grandissimo e costosissimo in
grado di fare esami e quindi diagnosi di malattie che poi non
sapremo, non potremo, e soprattutto non vorremo curare.
Si può
cambiare certo. Ma il cambiamento suppone tante fasi e tutte
dipendono strettamente dalla scelta del soggetto del cambiamento
stesso.
Il vuoto
inaccettabile è quello fra due mondi che non solo non si sono mai
realmente conosciuti e capiti, ma che non si sono proprio mai
incontrati e nonostante ciò sembrano condannati a vivere insieme
nello stesso barattolo. Sotto vuoto. Senza possibilità di trovare un
mezzo che li metta in comunicazione.
Noi,
mondo bianco, continuiamo a pensare che loro abbiano bisogno di
strumenti, di possibilità, di formazione. E che siamo noi a
doverglieli dare. Ma è quello che noi pensiamo. E a guardar bene è
un po' supponente, quasi quasi direi razzista. Questo pensiero
dominante del cooperante, dell'aiutante, dell'elemosinante ha
ingabbiato noi e loro in un gioco delle parti da cui è quasi
impossibile uscire. Ed è la forma di colonialismo più subdola e
velenosa che io abbia mai visto.
mercoledì 15 gennaio 2014
Aber - anno III - quindicesima settimana
Progresso
o regresso?
Anno
nuovo…problemi vecchi! Dopo essersi concessi quattro giorni di vacanze ci siamo
ributtati nella quotidianità delle nostre attività. Non che ci aspettassimo che,
con il nuovo anno, tutti i problemi svanissero, ma almeno c’era la speranza che
non peggiorassero e invece…ecco una nuova, ennesima, conferma che tanti
progetti rischiano di portare più un regresso che un progresso!
Nello
specifico mi riferisco alla situazione (che scopro essere sempre più assurda)
del St.Clare. Prima di scrivere questo post, mi sono detto “ma no dai, basta
stressare con queste polemiche; basta critiche pesanti” ma poi… non ce l’ho
fatta. Penso che, a rischio di essere noioso, certe cose vadano condivise soprattutto
perché, col passare del tempo, sono avvalorate da una più ampia conoscenza, una
maggior cognizione di causa e quindi una più profonda convinzione.
Forse
perchè sei in un contesto diverso dal tuo, oppure perchè immerso in una realtà
così nuova o, ancora, a causa dei mille avvertimenti che ti danno prima di
partire per la missione (entrare in punta di piedi, rispettare le usanze, non
stravolgere la realtà in cui ti inserisci, etc), soprattutto all’inizio è
facile pensare che sei tu quello che si sta sbagliando, che sei tu quello che
non capisce il contesto in cui sei venuto a trovarti. E così per un finto
rispetto, per una falsa comprensione che in realtà è più vicina ad una forma di
razzismo (“non possono capire certe cose”, “è troppo presto per loro per fare
questo passo”, etc) è facile cambiare idea e assecondare alcuni comportamenti
che invece dovrebbero essere stigmatizzati come sbagliati sempre, comunque e
ovunque. In realtà poi, spesso scopri che le cose non stanno così come pensiamo
noi e che, per ignoranza (cioè perché ignoriamo qualcosa che in realtà esiste)
con i nostri atteggiamenti rischiamo di rallentare dei processi di crescita o,
addirittura, di fargli invertire la rotta.
Come
sapete, l’orfanotrofio è gestito da tre suore di cui: solo una ha una
formazione in ambito educativo, la responsabile è un’infermiera (con nessuna
esperienza precedente) e l’altra non ha alcuna competenza specifica. Per il
resto ci sono solo un patron, una matron (che dormono con i ragazzi e le
ragazze) e dei workers (cuochi, gate-man, un paio di tutto-fare). E’
sicuramente l’aspetto di questo progetto che ho da sempre criticato
maggiormente. Sarà per deformazione professionale ma non ritengo possibile
gestire un orfanotrofio con 80/90 ragazzini tra i 6 e i 15 anni senza
educatori, senza del personale che possa essere (nel limite del possibile)
amico, fratello maggiore o genitore a seconda dei casi di ragazzi orfani con
storie di violenze e abbandoni alle spalle.
Così,
mentre parlavo della situazione dell’orfanotrofio con il probation officer (una
sorta di assistente sociale) sono venuto a sapere che, almeno in teoria, la
legge in Uganda è molto più avanti di quello che pensavo (e forse più avanti
anche di quella italiana). Il probation officer mi diceva infatti che, per
legge appunto, le strutture come un orfanotrofio vanno gestite da una persona
con un titolo in ambito socio/educativo e con una presenza di social workers in
rapporto di 1:8 con i ragazzi! Non dico di rispettare esattamente queste
indicazioni (magari anche un rapporto di 1:20 potrebbe andar bene) ma almeno
tenere presenti alcuni orientamenti che la legge cerca di dare, credo che sia
doveroso!
Quello
che mi chiedo quindi è: un progetto che mette a disposizione una struttura
molto bella ma che poi non riesce a sostenersi e a coprire delle voci di costo
annuali come lo stipendio di personale addetto alla gestione socio-educativa così
come previsto dalla legge locale, è un progetto di sviluppo o inviluppo? Un progetto
che non tiene in considerazione i (purtroppo) pochi diritti previsti per le
fasce deboli di una popolazione rischiando di promuovere e diffondere un
modello chiaramente mancante dell’essenziale a favore dell’apparente , porta
progresso o porta regresso? Perché portare avanti un progetto che in Germania e
Austria (le nazioni dei donors) non verrebbe mai approvato dagli assistenti
sociali?
La
risposta purtroppo è facile: perché qui è l’Africa! qui va bene un po’ tutto!
perché l’Africa deve accettare qualunque tipo di elemosina…”non vorrete mica
che, oltre a dargli dei soldi, teniamo presenti anche la loro storia e la loro
legge!”
PS1: ricordo a chi non ha ancora avuto modo di scaricare il video del nostro viaggio al Kidepo che può farlo clickando QUI
PS2: REGALO!!! anche se con un po' di ritardo, anche quest'anno potete scaricare il Piccio-calendario del 2014. Vi basta clickare QUI oppure sull'immagine presente nella colonna qui a fianco! un piccolo pensiero...augurandovi ancora una volta buon anno!
domenica 12 gennaio 2014
Special Post
Kidepo: il video!
Ecco finalmente l'attesissimo video che racchiude un po' di foto scattate durante il nostro viaggio al Parco del Kidepo...potete scaricarlo cliccando QUI ...buona visione!
Ecco finalmente l'attesissimo video che racchiude un po' di foto scattate durante il nostro viaggio al Parco del Kidepo...potete scaricarlo cliccando QUI ...buona visione!
giovedì 9 gennaio 2014
Aber - anno III - quattordicesima settimana
Hakuna Matata
Dal 4 al 7 Gennaio ci siamo concessi quattro giorni di vacanza. Meta della
nostra gita è stato il Parco Nazionale del Kidepo. E’ un parco a circa 300Km da
noi. Situato all’estremo confine nord-est dell’Uganda confina sia col Kenya che
col Sud-Sudan. Recentemente è stato inserito nella lista dei 10 parchi più belli
d’Africa. Uno dei motivi di tale eccellente posizionamento è sicuramente lo
stato molto selvaggio che tutt’ora mantiene. Proprio a causa della scomodità
nel raggiungerlo, il Kidepo è ancora poco visitato e conserva un’atmosfera quasi
primitiva. In questo viaggio ci siamo fatti accompagnare da un tour operator di
Kampala che rientra nel giro del così detto “turismo responsabile”. Con tale
termine si intende un turismo che cerca di conoscere e sostenere la realtà che
incontra e favorire, nel limite del possibile, le comunità che accolgono il
visitatore. Durante questi quattro giorni abbiamo così avuto la possibilità di
incontrare una comunità karimojong. Questo popolo abita la Karamoja che è una
delle regioni più povere dell’Uganda soprattutto a causa dell’aridità quasi
desertica del territorio. E’ stato interessante entrare, anche se molto
brevemente e marginalmente, in una cultura veramente unica.
Per quanto riguarda il parco vero e proprio, naturalmente è stato molto
bello. Purtroppo non siamo riusciti a vedere i leoni, ma abbiamo comunque visto
animali mai visti prima come la zebra o lo sciacallo e abbiamo avuto la fortuna
di essere presenti in alcune situazioni particolari come lo spostamento in
massa di una mandria enorme di bufali o il “banchetto” di alcuni avvoltoi che
ripulivano la carcassa di un bufalo sbranato da un leone.
Anche in questo caso spero che le immagini possano aiutare più delle parole
nel condividere la nostra esperienza. Purtroppo, ho aspettato fino adesso ma la
connessione internet va un po’ a rilento
e quindi non riesco a caricare il video. Appena sarà disponibile, non tarderò a
fare un special post con il link da cui scaricarlo!
Iscriviti a:
Post (Atom)