giovedì 24 gennaio 2013

Aber - anno II - ventisettesima settimana

Qualche giorno per la nostra famiglia!
18 giorni in tutto! Per riposarci, respirare aria nuova, staccare un po’ la spina, vivere dei bei momenti in famiglia, coccolare il Franci, conoscere Samuel, abbracciare la Pizzi e chiacchierare con il Piccio. Pochi per tutte queste cose, ma tanti lontano dai gemelli!
Siamo partiti con qualche problema… i gemelli ammalati, io poco in forma… ma piano piano… più l’Africa si avvicinava (il viaggio è durato praticamente 2 giorni).. più il desiderio di vedere i nostri cari si faceva forte.
Arrivati in Uganda, a Kampala, durante il viaggio in autobus verso il villaggio di Atapara (dove si trova la parrocchia di Aber) pensavo a quante persone del mio passato  avevano fatto quel viaggio… ero finalmente nel cuore dell’Africa nera!
“Chissà come tornerai da questo viaggio” era la preoccupazione di mia mamma.
Come sono tornata? Contenta perché ho trovato una famiglia felice, realizzata, che lotta e si impegna per quello in cui crede, per quello che ha scelto.
Contenta perché questo viaggio ci ha avvicinato come coppia. Vivere un po’ il sogno che era stato anche nostro, vedere i nostri amici e poterli sostenere da vicino, sentirci più vicini a loro: tutto questo ci ha fatto sentire più vicini anche a noi, come coppia e famiglia.
Contenta perché oggi ancor più di un mese fa sono orgogliosa di far parte di questa famiglia comboniana. E mi sento comboniana per quello che scelgo, che faccio e che vivo.
Contenta perché, nonostante ce l’abbia messa tutta, non sono riuscita a restare indifferente alla realtà che ho conosciuto. Ci ho davvero provato a non guardare, a far finta di niente, a far scivolare tutto sulla pelle senza farla entrare, ma non è stato possibile. E ringrazio il Signore per questo.
Per strada i bambini che non sorridono: avranno paura di me, meglio non avvicinarmi.
L’orfanotrofio: no, per favore lì non ci voglio andare. Ok, entriamo. Volete vedere i bambini? No, no… Ma sì che bello!... Non è vero. Non è bello. Sono piccoli… in quei lettini ancora più piccoli… e sporchi… usciamo, io non voglio starci qui!
E poi finalmente la gita al parco: gli animali, la gioia dei bambini, le foto, le chiacchere: un giorno di riposo “esotico”!
Poi il Samu si ammala. Restiamo a casa. A vivere quella quotidianità per noi così straordinaria: le guardie in ospedale della Mari e le emergenze; le improvvise visite di amici, conoscenti o… sconosciuti ma “amici di amici” del Piccio; le visite nelle Parrocchie, cui seguivano immancabilmente i pranzi tradizionali ugandesi; gli assalti degli insetti (questo aspetto mi sembra sia stato abbastanza straordinario anche per i Piccio, e per chi conosce la mia aracnofobia, vorrei precisare che gli insetti in questione erano ragni!).
Ma poi il dovere chiama e la visita alle comunità comboniane e ai progetti è obbligatoria, nonché benvoluta: la visita ad Aboke, nella casa di formazione delle ragazze di suor Rachele.
Lì mi si apre un flash: mi rivedo a Venegono quando arrivò la notizia del rapimento da parte dei ribelli di più di cento ragazze di quella scuola, era il ’96; e adesso vedere il granaio dove si erano rinchiuse le ragazze per sfuggire alla mattanza, il dormitorio delle poverette che non sono riuscite a sfuggire dai ribelli e poi ancora rivivere la storia raccontata da Susan e Carmen… ancora a mandare giù le lacrime.
Altro giorno, altra visita: il santuario di Icheme e a seguire Gulu: un altro posto mitico per chi conosce i comboniani da tanti anni. Il Comboni Samaritan, e l’orfanotrofio St. Jude… “Ho la macchina fotografica scarica”, non è vero, ma questo non lo voglio fotografare, no davvero, perché questi bambini hanno l’età dei miei bimbi, sono sporchi e se fossero i miei bimbi sarebbero coccolati e vestiti bene ed avrebbero un posto dove dormire, non come quel bambino che mi ciondola davanti e si accascia a dormire sul marciapiedi.
E allora ritiro la macchina fotografica e non riesco a parlare. Non riesco a trovare molte parole. Rispondo a quello che chiede fratel Elio. Sorrido al Piccio. Meno male che ci sono il Franci e Samuel: almeno mi sembra di essere qui per fare qualcosa.
Poi si torna ad Aber hospital. Il malato sembra essersi un po’ ripreso. Possiamo partire per Kampala. La nostra ultima tappa.
Qui incontriamo altre comunità di Comboniani. Visitiamo la comunità dei Laici Missionari Comboniani accompagnati da Otto, poi ci incontriamo con una compagna di cammino, Danuta, LMC dalla Polonia. Insomma abbiamo fatto il pieno di combonianità, sotto molti aspetti.
Ed è il momento di tornare a casa, con molta tristezza perché davvero, quando in un posto ci si sente a casa e si sta bene il tempo vola e non si riesce a fare tutto quello che ci piacerebbe. Ma i bimbi ci mancano tanto. Così saliamo in auto e percorriamo l’ultimo tratto di Africa prima di prendere il nostro aereo: guardo fuori dal finestrino le ultime immagini di una capitale sveglia nonostante l’ora tarda. E queste ultime mi lasciano uno strano amaro in bocca: i senzatetto al semaforo, stretti uno all’altro sdraiati sotto cartoni e coperte… niente di diverso de Milano, o Bologna… ma poi qualcuno alza la testa, è un bambino, non avrà nemmeno due anni.
Sono queste le ultime immagini del mio primo viaggio in Africa?
Sì, e ancora ringrazio per questo dono.
Ringrazio Samu per avermi convinto a fare questo viaggio.
Ringrazio la famiglia comboniana per il lavoro che ha fatto e che continua a fare.
E soprattutto ringrazio Francesco e Samuel, la Mari e Marco, la nostra famiglia, per non averci fatto sentire ospiti ma parte di “tutto”.


 

Nessun commento:

Posta un commento