giovedì 27 giugno 2013

Aber - anno II - quarantanovesima settimana

African Child Day

Il 16 Giugno di ogni anno (quest’anno stranamente posposto al 25) si celebra il “Giorno del bambino Africano”. Già, anche i bimbi di qui, spesso dimenticati, spesso trascurati, spesso abusati in termini di diritti e libertà, hanno un loro giorno! Un giorno in cui i grandi decidono di sedersi e discutere con le migliori intenzioni ciò di cui i piccoli hanno bisogno promettendosi a vicenda di non dimenticarsene per i restanti 364 giorni dell’anno. Ma oggi voglio essere positivo e ottimista anche perché, ad avermi invitato a partecipare a questa celebrazione sono state delle persone che stanno portando avanti un’esperienza che lascia spazio alla speranza. Era già un po’ di tempo che volevo andare a visitare “Aber Primary School”, una scuola primary  che, unica nella regione, ha anche una sezione per disabili.  E’ difficile che categorie di vulnerabilità e marginalità come quella dei disabili ricevano attenzioni particolari. Quando dico questo non voglio farne una colpa ai cittadini ugandesi, piuttosto al governo. Per i cittadini è veramente troppo difficile pensare che si possano organizzare e che riescano a dedicare attenzione a queste persone. Alcuni fattori culturali e sociali portano spesso a stigmatizzare persone come i diversamente abili quali “risultato” di qualche maleficio o qualche colpa di altri membri del clan e quindi non particolarmente degni di attenzioni. La condizione di miseria estrema in cui la maggior parte della gente vive fa poi il resto, portando ad una sorta di selezione naturale che lascia che i più deboli si “estinguano”. Ma il governo, dichiarandosi attento e democratico dovrebbe prendersene cura…una democrazia dovrebbe riconoscersi anche e soprattutto dall’attenzione che riserva agli ultimi, giusto?
Facendo un passo indietro rispetto a ieri…torniamo a settimana scorsa quando sono andato ad incontrare questa esperienza. Mi ha veramente colpito. 148 ragazzini disabili che vivono e studiano in questa scuola. La maggior parte non udenti e non vedenti ma alcuni anche con disabilità mentali (ritardi, sindrome di Down). A seguirli durante le ore di scuola sono “addirittura” 4 insegnanti! Di cui 3 a loro volta con disabilità e un coordinatore. Durante il giorno ci sono poi altre persone che si occupano di cucinare e di seguirli nei bisogni essenziali. Durante la notte sono invece altri studenti “normodotati” della scuola che dormendo insieme, in caso di bisogno, si prendono cura di loro. Come dicevo, il governo non sostiene molto questa esperienza e il contributo economico che da è veramente irrisorio. Purtroppo poi è stato ulteriormente ridotto da quando, due anni fa, si è scoperto che quei pochi soldi che arrivavano venivano intascati dal coordinatore di allora. Ma ora la struttura, per quei pochi mezzi che ha a disposizione, sembra funzionare bene. E ieri hanno avuto modo di mostrarlo a tantissima gente. Si sono presentati con un cartello che diceva “Disabilità non è inabilità” e, per dimostrarlo, si sono esibiti in una recita e in un canto entrambi fatti da ragazzi muti. Ebbene si, dei ragazzi muti hanno cantato e recitato esprimendosi con il linguaggio dei segni e, grazie alla traduzione effettuata da un’insegnante, tutti hanno potuto apprezzarne l’esibizione e rimanerne piacevolmente sorpresi. Speriamo che più di tante (spesso inutili) parole siano i gesti di questi ragazzi a rimanere impressi e a toccare le coscienze. 
Tutta la celebrazione è poi andata avanti con esibizioni fatte dai ragazzini provenienti da molte scuole del distretto che attraverso danze tradizionali e moderne hanno trattato il tema specifico della giornata che era “Eliminare le pratiche sociali e culturali che interessano i bambini, è una nostra responsabilità”.
Non voglio aggiungere altro…lascio ora spazio alle foto e ad un video che meglio di ogni altro discorso possono raggiungervi e rendervi partecipi della giornata.
PS: per le foto trovate il link nella rubrica qui a fianco "Piccio-foto", mentre per il video cliccate qui

mercoledì 19 giugno 2013

Aber - anno II - quarantottesima settimana

Il GIM di Aboke

Sabato scorso abbiamo iniziato una nuova esperienza, una nuova sfida, una nuova occasione di incontro e di scambio. Abbiamo iniziato un cammino di formazione missionaria rivolto alle ragazze della scuola di Aboke.
Era ormai diverso tempo che pensavamo a come poter condividere in modo più diretto ed esplicito il nostro essere missionari. D’accordo farlo nella quotidianità, col nostro essere qui, col nostro essere famiglia e coi nostri lavori ma ci piaceva anche trovare un modo più esplicito per riflettere insieme su cosa sia la missione e per dare ai ragazzi di qui la stessa possibilità e lo stesso dono che noi avevamo ricevuto potendo frequentare il GIM – cammino di formazione alla missione per giovani proposto dai comboniani - ormai 10 anni fa.
Così, insieme a sister Carmen (suora comboniana che sta ad Aboke), abbiamo iniziato a pensare una proposta da rivolgere alle ragazze della scuola. Quello che ne è uscito è un percorso molto impegnativo, articolato su tre anni e con incontri settimanali della durata di un’ora circa. I macro argomenti su cui vorremmo ragionare sono “l’ascolto”, “l’incontro” e “l’azione” agiti sul piano personale, su quello della relazione con l’altro e nella relazione con Dio. Le “sotto-tematiche” sono varie e vanno dal “silenzio” alla “libertà”, dal “perdono” alla “non violenza”, dal “pregiudizio” alla “cooperazione”…e altri ancora. Come modalità naturalmente abbiamo cercato di privilegiare quelle del gioco e della creatività ma, in parte, anche quelle più “da grandi” della meditazione e della condivisione.
Il primo incontro è stato positivo… a mo’ di introduzione chiedevamo loro cosa intendessero per “missione”. Abbiamo chiesto di ragionarci in piccoli gruppi e poi di riportare il risultato al gruppo allargato usando diverse forme artistiche (il disegno, la recita, la canzone, la poesia).
Quello che ne è uscito sono le risposte che più o meno ci aspettavamo (a parte la piacevole sorpresa di non sentir mai parlare di soldi!)come per esempio: siamo tutti chiamati alla missione, la missione è preghiera per gli altri, essere missionari vuol dire aiutare il prossimo con ciò che siamo capaci di fare, etc.
Non so quanto queste risposte siano per loro vere o semplici frasi fatte, ciò che è più importante per il momento però è che si siano divertite per un’ora ragionando insieme su temi comunque importanti.
La speranza per il futuro è che, da luoghi comuni, diventino qualcosa in cui credono un po’ di più, qualcosa che sentano veramente loro e che le aiuti a fare piccole scelte e a ragionare sui comportamenti quotidiani in maniera un po’ diversa sapendo di non essere le sole a pensarla in un certo modo.
Alla fine anche a me quello che è rimasto del GIM (e che ancora più apprezzo del cammino dei laici comboniani) sono il divertimento, i rapporti veri e profondi all’interno del gruppo e la modalità di vivere la vita e la fede che è quella in cui più mi ritrovo.
Non so se seguiremo fedelmente i nostri piani o se dovremo cambiare la nostra time-table, non so neanche se le difficoltà con la lingua permetteranno di condividere in modo profondo e se le nostre metodologie siano valide per questa cultura o utili in questo contesto, speriamo solamente di contribuire, insieme ad altre esperienze che queste ragazze faranno, ad innescare quella scintilla che poi Qualcun Altro trasformerà nel fuoco ardente della ricerca della giustizia, della verità, della felicità.
 

mercoledì 12 giugno 2013

Aber - anno II - quarantasettesima settimana

Ognuno per nome

Se verrete in Africa un giorno, non fate mai l'errore di pensare di avere capito tutto (o quasi). Io l'ho fatto spesso ed ogni volta l'Africa mi ha lasciata a bocca aperta.
Per esempio credevo di avere capito (e forse l'ho anche scritto) che i bambini qui contano poco, soprattutto se molto piccoli, soprattutto i neonati...in fondo sono una merce molto diffusa, a basso costo di produzione e quindi di scarso valore...Sì, sono diventata un po' cinica...per sopravvivere...
Oggi dopo la Messa in ospedale sono entrata in reparto quasi per caso (...ma esiste il caso...?) e ho notato che il parroco stava facendo una preghiera nella nostra procedure room. Mi sono avvicinata e mi sono resa conto che in realtà stava battezzando un piccolo neonato in fin di vita attaccato all'ossigeno.
Quanti neonati ho visto morire in un anno e mezzo? Non lo so. Ho smesso di contarli, sempre per sopravvivere, ma questo mi ha riempito gli occhi di lacrime. Questo è stato battezzato, ha avuto un nome, ha genitori che nonostante la brutalità del mondo da cui provengono hanno voluto chiamarlo per nome e ricordarlo per sempre come parte della famiglia anche se vivrà solo un giorno.
Questa sera nella penombra della mia procedure room, sul lettino sporco su cui faccio le toracentesi e le lombari, accompagnato dal suono meccanico del concentratore di ossigeno, con la stessa brocca d'acqua che uso per lavarmi le mani è avvenuto il miracolo della vita, dell'amore e della morte tutti insieme in un unico momento. In questo cuore d'Africa crudele e brutale si è rivelato il Dio pastore compassionevole che conosce ognuna delle sue pecore per nome.

martedì 4 giugno 2013

Aber - anno II - quarantaseiesima settimana

Semi di speranza…che vanno coltivati!

Questa settimana è stata caratterizzata da due momenti che mi sono permesso di sintetizzare col titolo del post: semi di speranza…che vanno coltivati.
I semi di speranza sono i Santi Martiri d’Uganda…i coltivatori che hanno l’obbligo di prendersi cura di questi semi per non farli morire invano sono le persone di qui.
Ma andiamo con ordine. Il 3 giugno si celebra la commemorazione dei Santi Martiri d’Uganda (per maggiori informazioni rimando al post del 2012, mese di giugno). E’ una festa molto sentita. Quest’anno cadeva proprio il giorno dopo il Corpus Domini ed è stato bello riflettere sul fatto che, fortunatamente, non è solo Gesù ad aver donato il proprio corpo per chi ha fame e sete di giustizia. Devo dire la verità…l’ostia ricevuta domenica aveva un sapore particolare, aveva anche in sé la forza e l’energia derivante dal sacrificio di questi 22 giovani (in parte cattolici e in parte protestanti) che si sono immolati per valori come la libertà e la pace. Questa energia e questa forza si ritrovano anche nella miriade di pellegrini che partono settimane prima del 3 giugno da posti anche molto lontani (tutta l’Uganda, ma anche Rwanda, Congo, Sudan, Kenia) e camminano fino al Santuario di Namugongo per far resuscitare e tenere in vita chi la vita se l’è giocata per intero. Faceva notare un padre comboniano come il potere dei re finisce con la loro morte, ma il potere dei martiri inizia con il loro sacrificio estremo.
Purtroppo non basta però camminare per due settimane perché i valori per cui questi giovani hanno dato la vita vengano mantenuti, purtroppo perché dei semi diventino piante bisogna prendersene cura.
E da qui la seconda parte del titolo del post e il secondo episodio significativo di questa settimana: la consacrazione (con il primo evento ufficiale) della nascita della commissione giustizia e pace della cappella di Aber. Certo è una piccola cosa che sicuramente non cambierà il mondo e quasi certamente neanche, almeno a breve termine, il destino dell’Uganda ma ha in sé un grosso valore. Innanzitutto perché è parte di una rete, non è una realtà isolata e a sé stante ma è parte di un movimento presente anche a livello diocesano, nazionale e mondiale (da quando nel 1967 Papa Paolo VI costituiva il consiglio pontificio per la pace e la giustizia). Secondariamente perché nasce dalla gente con una struttura nuova, con una struttura che gli appartiene, con un’organizzazione che valorizza quelle Small Christian Communities che derivano dalla tradizione locale. Da quando si è costituita ha individuato due prime tematiche da approfondire. Una è legata alla vita quotidiana e alle relazioni interpersonali: “la violenza domestica”, la seconda è invece più connessa con le istituzioni e il rispetto dei diritti: “le strade”. Entrambe le tematiche sono state scelte dalla gente con un sondaggio che ha coinvolto più di 500 persone. Ciò ha portato, per esempio, alla scelta dell’argomento “strade” come priorità assoluta quando, se avessi dovuto scegliere solo io, avrei dato forse la precedenza ad altre urgenze come la sanità o l’istruzione.
Questi coltivatori avranno sicuramente tanto da fare…c’è infatti chi è chiamato a “gettare” la propria vita nel terreno e chi invece ha il compito di arare, innaffiare e proteggere dagli agenti infestanti ogni singolo giorno della sua vita e con scelte altrettanto radicali.
Non basta vivere sperando, ma la speranza è ciò che ci deve spingere all’agire e all’impegno quotidiano.