martedì 4 settembre 2012

Aber - anno II - settima settimana

“La sindrome del pendolo”

Cosa ricordo del Cardinal Martini? Meno di 10 parole (peraltro riportatemi da Jimmy – ex coadiutore della parrocchia di San Giovanni di Rho) e un episodio...
Perché allora sento l'esigenza di condividerle? Perché sono per me più importanti di mille sermoni, esegesi e omelie e ci tengo quindi, nel mio piccolo, ad amplificarle e a ringraziarlo.
Le parole: “ma come è bello lavare i piatti in compagnia”. La gioia nell'umiltà, nel servizio e nella condivisione di una fede che non rimane “parola” ma si fa azione. Non credo serva aggiungere altro.
L'episodio: eravamo in vacanza a Gerusalemme e ci siamo aggregati ad un gruppo del PIME che aveva in programma un incontro nella residenza in cui il cardinal Martini ha trascorso alcuni anni studiando e pregando per la pace. Ci ha accolto con un paio di crocs ai piedi e un gilet in maglia verde. Ha voluto salutarci singolarmente uno per uno, chiederci chi fossimo e perché eravamo li e, dopo la lectio, ci ha riaccompagnato alla porta augurandoci la pace. L'accoglienza nella semplicità e l'attenzione verso l'altro. Più di così!
Di seguito invece riporto un Suo intervento effettuato durante degli esercizi che tenne ai missionari italiani nel 1985 presso il Centro pastorale dei missionari della Consolata di Sagana (Kenya) così come riportato in “Nigrizia” dell'1/9/2012. Inutile dire quanto condivido queste parole, quanto penso siano vere non solo per i missionari “ad gentes” ma per tutti i cristiani e quanto Lo ringrazio per essere stato breve (così che ho potuto vincere la mia pigrizia e leggerle!!!).
«Forse ho avvertito in voi un rischio, che potrei definire la "sindrome del pendolo". Vi trovate in situazioni difficili e stili di vita che difficilmente collimano con la morale cristiana, con le leggi della chiesa, con il codice di diritto canonico... Vi ho sentito parlare della bellezza di una nuova comunità cristiana che nasce dalla Parola sentita dalle vostre labbra, dell'entusiasmo iniziale di un gruppo di persone che decidono di tentare l'avventura di credere nel Vangelo, quasi aveste a che fare con una delle comunità cristiane primitive descritte negli Atti degli apostoli. In altri, invece, mi è parso di notare una perdita dello slancio iniziale: troppe le difficoltà contro cui cozzate; il processo d'inculturazione del messaggio evangelico assorbe tutte le vostre energie, ma è anche motivo di preoccupazione, di scoraggiamento, di delusione. La freschezza e la vivacità degli inizi si tramutano facilmente in cupezza, grigiore, artificiosità, calcolo. Che fare?»
«In simili frangenti, potresti avvertire il bisogno di tornare alla purezza iniziale, alla radicale serietà della scelta. Forse venite colti da un fastidioso senso di amarezza ("Ho sbagliato tutto") e desiderate essere di nuovo severi, esigenti, austeri, duri, inclementi, fermi, fiscali, inflessibili. Decidete, allora, di eliminare dal vostro approccio missionario ogni accondiscendenza con la cultura locale e con le troppe debolezze dei gruppi umani con cui vivete e ridiventare uomini e donne della legge: niente più matrimoni di prova o in fieri, niente più comprensione della poligamia, niente più bonarietà, o permissività, o approssimazione... Solo Vangelo allo stato puro!
Ma è difficile persistere in questo atteggiamento. Dopo un poco, vi accorgete che la gente non ce la fa a essere perfetta come vorreste. E forse sentite come rivolte a voi le dure parole dette da Gesù ai farisei: caricate sulle spalle degli altri pesi che non siete in grado di portare sulle vostre. Mantenere quella posizione di rigidità diventa estenuante, spossante, snervante, deprimente per voi e per tutti. E allora mollate la presa e "dondolate" dall'altra parte: tornate a essere benevoli, bonari, clementi, liberi, se non libertari, pazienti, permissivi... per poi pentirvi, appena notate nuovi tradimenti del vangelo. Fate come il pendolo: ora tutto da una parte, ora tutto dall'altra».
Chiuse gli occhi, fece una lunga pausa di silenzio e poi aggiunse: «Dove penso possa trovarsi quella che definirei una posizione di "equilibrio evangelico"? Non certo a metà strada tra la rigidezza e la permissività. Non credo che valga il detto: il meglio sta nel mezzo. L'unico luogo in cui un apostolo del vangelo deve situarsi per non ammalarsi della sindrome del pendolo è sul Golgota. Più precisamente sulla Croce. Più precisamente ancora, nel cuore trafitto di Cristo.
Piazzatevi lì. E dalla fessura procurata dalla lancia, osservate la vostra gente. Forse vedrete che i più sono molto lontani, ancora alle falde del monte o appena all'inizio del pendio. Continuate a guardarli, a contemplarli. Soprattutto, amateli con la vampa d'amore che arde in quel cuore.
Non legatevi troppo a questa o quella tabella di marcia. Non intestarditevi su questo o quel percorso. Non pretendete che siano tutti provetti scalatori. Non riprendeteli se li vedete salire zigzagando, o se rallentano, o se cadono e si fermano.
Una sola deve essere la vostra preoccupazione: che la gente non faccia mai un percorso a ritroso, cioè un cammino che la allontani da quel cuore e da quell'amore. Concedete loro di salire con la velocità di cui ognuno è capace e con le pause di cui necessita. Rispettate il fiatone che molti potrebbero avere. E se cadono, invitateli a rialzarsi, magari mostrando loro come fare. L'importante che riprendano il cammino che li avvicini a quel cuore, che è il centro dell'amore che muove ogni cosa».

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