Chi pianta datteri non
mangia datteri
Non so se questo
proverbio è vero, non so se una pianta di datteri impieghi veramente 100 anni a
dare i frutti. Vero è, però, che quando ho sentito questa frase l’ho subito
associata alla nostra esperienza africana. In modo particolare in questo
periodo in cui più o meno giustamente si tirano le somme, in cui, più o meno
giustamente si cercano di fare delle valutazioni, sicuramente questo detto può
aiutare a fare delle considerazioni. Una prima domanda è: sulla base di quale
parametri valutare un’esperienza del genere? I frutti che si possono vedere? La
crescita personale? Umanamente si ricerca nelle frasi delle persone quella
gratificazione di cui si ha bisogno: “se non fosse stato per te non staremmo
studiando qui”; “Dr. Maria come faremo senza di te?”; “a un mese dalla partenza
si pensa già alla nuova esperienza e invece tu sei ancora qui a partecipare a
tutte le nostre riunioni”; etc.etc.
Sicuramente fanno piacere
però vorrei proporre anche un altro modo per valutarsi, più umile e che non
ambisce a cambiare il mondo ma piuttosto può aiutare noi stessi a migliorarci
un pochino. Questa valutazione è fatta solamente di una domanda: ho dato il
massimo? Se la risposta è sì, credo si possa essere soddisfatti, comunque. Anche
se gli errori ci sono stati e anche se i cambiamenti non si vedono quello che
mi devo chiedere è: Io ho dato il massimo, ho dato quello che ho anzi, quello
che sono; ho cercato di non dare spazio
alle pigrizie, alle paure e alle arrabbiature oppure mi sono fatto prendere
dallo sconforto nei momenti bui o mi sono adagiato sugli allori quando le cose
andavano meglio? Ho messo sempre al centro l’altro, unico obiettivo del mio
agire, cercando insieme a lui con perseveranza e testardaggine il bene comune?
Tornando al nostro detto
di partenza, credo veramente che sia più importante pensare a come ho piantato
i datteri più che aspettarmi di vederne i frutti. Un conto è buttare il seme
dove capita, un conto è studiare il terreno, ararlo, nutrirlo, amarlo e deporvi
il seme mettendo in gioco tutte le conoscenze che si hanno. Poi può succedere
che malgrado la mia buona volontà i frutti non appariranno mai ma non per
questo sarà stato un fallimento. Altri impareranno dai miei errori: la stagione
sbagliata, il terreno sbagliato, il seme messo troppo in profondità e
soffocato. Oppure semplicemente ci saranno altre condizioni esterne che saranno
più clementi e favorevoli.
Nel nostro piccolo anche
noi abbiamo cercato di fare del nostro meglio…confidando nei semi che ci erano
stati dati e cercando di seminarli nel miglior modo possibile, confidando nel
terreno che li accoglieva, confidando che le condizioni al contorno fossero
favorevoli. A me i datteri piacciono…per fortuna cent’anni fa qualcuno ha
pensato agli altri più che a sé stesso e ha
sperato nel futuro.
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