La pedagogia degli oppressi
A volte è consolante
leggere un libro e ritrovarci tanti tuoi pensieri e tante tue idee
nate dall'esperienza. A me sta succedendo con “La pedagogia degli
oppressi” di Paulo Freire e per questo voglio riportarvi alcune
frasi che spero possano suscitare anche in voi delle riflessioni sul
vostro vissuto quotidiano.
“Umanizzazione e
disumanizzazione sono possibilità degli uomini come esseri
inconclusi e coscienti della loro inconclusione. Ma anche se tutte e
due costituiscono una possibilità, solo la prima ci sembra
costituire la vocazione dell'uomo.”
“Il potere degli
oppressori, quando cerca di rendersi gradito alla debolezza degli
oppressi, si esprime quasi sempre come falsa generosità, senza
arrivare mai a superarla. Gli oppressori, falsamente generosi, hanno
bisogno che l'ingiustizia perduri, affinché la loro “generosità”
continui ad avere le occasioni per realizzarsi”
“Forse tu fai delle
elemosine. Ma da dove le prendi, se non dalle tue rapine crudeli
dalla sofferenza, dalle lagrime, dai sospiri? Se il povero sapesse da
dove viene il tuo obolo, lo rifiuterebbe perché avrebbe
l'impressione di mordere la carne dei suoi fratelli e di succhiare il
sangue del suo prossimo. Egli ti direbbe queste parole coraggiose:
“Non saziare la mia sete con le lagrime dei miei fratelli. Non dare
al povero il pane impastato con i singhiozzi dei miei compagni di
miseria. Restituisci al tuo simile ciò che gli hai sottratto
ingiustamente, e io ti sarò molto grato. Che vale consolare un
povero, se ne crei altri cento?” (tratto da: Gregorio di Nissa,
Sermone contro gli usurai)
“La pedagogia
dell'oppresso deve essere forgiata con lui e non per lui”
“Tuttavia gli
oppressi, accomodati e adattati, “immersi” nell'ingranaggio della
struttura dominante, temono la libertà, perché non si sentono
capaci di correre il rischio di assumerla. E la temono anche perché
lottare per essa costituisce una minaccia, non solo per gli
oppressori, che la usano come proprietari esclusivi, ma anche per i
compagni oppressi, che si spaventano all'idea di maggiori
repressioni”
“La liberazione è un
parto. Un parto doloroso”
“Diventare solidali
non è avere coscienza di essere sfruttatore e “razionalizzare”
questa colpa in maniera paternalistica. La solidarietà, giacché
esige da colui che diventa solidale che “assuma” la situazione di
coloro che ha scoperto oppressi, è un atteggiamento radicale.”
“Per noi il nocciolo
della questione non consiste nell'illuminare le masse ma nel
dialogare con loro sui motivi e le modalità della loro
azione...azione che è umana solo quando, più che un semplice fare,
è un “che fare”, cioè quando non si stacca dalla riflessione”
“La pedagogia
dell'oppresso, che in fondo è la pedagogia degli uomini che si
impegnano nella propria liberazione, ha qui le sue radici. E i suoi
soggetti devono essere gli oppressi che si sappiano oppressi o
comincino a sapersi tali criticamente. Nessuna pedagogia realmente
liberatrice può mantenersi distante dagli oppressi, cioè può fare
di loro degli esseri sfortunati, oggetti di un trattamento
umanitario, per tentare la creazione di modelli adatti alla loro
promozione, servendosi di esempi tratti dall'esperienza degli
oppressori”
“La pedagogia
dell'oppresso...è animata da una generosità autentica, umanistica e
non umanitaristica. Al contrario, la pedagogia che, partendo dagli
interessi egoistici degli oppressori (egoismo camuffato con apparenze
di generosità), fa degli oppressi gli oggetti del suo umanitarismo,
mantiene e incarna l'oppressione”
“Un rivoluzionario si
riconosce più per la fede nel popolo, che lo impegna, che per mille
azioni realizzate senza questa fede”
“A un certo momento
dell'esperienza esistenziale degli oppressi si verifica un'attrazione
irresistibile verso l'oppressore. Verso il suo stile di vita...Ciò
si verifica soprattutto negli oppressi della classe media, la cui
aspirazione è divenire uguali all'uomo “illustre” della
cosiddetta classe “superiore””
“L'autosvalutazione è
un'altra caratteristica degli oppressi. Risulta dal fatto che
introiettano la visione che l'oppressore ha di loro”
“Finché gli oppressi
non prendono coscienza delle cause del loro stato di oppressione,
accettano con fatalismo il loro sfruttamento. Peggio ancora, con
molta probabilità assumono posizioni passive e alienate di fronte
alla lotta per la conquista della libertà e per la loro propria
affermazione nel mondo. In ciò consiste la “connivenza”
dell'oppresso con il regime oppressore”
“E' imprescindibile
che la convinzione degli oppressi di dover lottare per la propria
liberazione sia non elargizione fatta loro dalla propaganda
rivoluzionaria, ma risultato della loro coscientizzazione”
E a proposito di
prendere coscienza della propria situazione di oppressi credo che sia
doveroso anche per noi in Italia riflettere sulla condizione in cui
ci troviamo a vivere. Non credo che gli oppressi siano solo i poveri
ma, piuttosto, oppressi sono tutti coloro a cui è tolta la
possibilità di pensare in modo libero e le modalità usate
dall'oppressore sono diverse nel tempo e nello spazio.
grazie
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