Padre Mario è per me il volto onnipresente
ad Angal.
Ogni volta che sono venuta fin quassù l'ho
sempre incontrato.
A volte malato, magari stanco, un po'
dimesso, ma sempre dedito alla sua gente.
Questa sera quando gli abbiamo chiesto di
mostrarci le stelle anche l'ultimo velo di tristezza è scomparso. Abbiamo
spento tutte le luci e portato in giardino telescopio e binocolo.
Così un anziano padre missionario e due
infettivologi temporaneamente ultrasonografisti, giunti fin qui per studiare un
po' di ecografia con i colleghi africani, hanno cominciato ad ammirare le
Pleiadi sfarzose e lucenti come una collana di diamanti, inseguite a breve
distanza, ma mai catturate dal cacciatore Orione. Poi lo Scorpione, Cassiopea,
la Via Lattea, decine di stelle cadenti e il sorgere di Giove rosso, arancione
e blu con tre delle sue lune.
Dopo avere trascorso una settimana nel
buio di una stanza di ospedale, direzionando ultrasuoni dentro addomi e colli
alla ricerca di vasi minuscoli e parenchimi opachi ora stavamo nell'immensità
dell'universo, illuminati dalla calotta celeste a contemplare entità di cui
neanche conosciamo la natura.
Non è facile vivere e lavorare in Africa,
soprattutto per chi lo fa per tanti anni.
Ma in quel momento tutti noi siamo stati
infinitamente grati di essere lì e in nessun altro posto.
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