Come ultimo post di questo primo anno d'Africa (lunedì prossimo pubblicheremo infatti solo i saluti pre-partenza) vogliamo raccontarvi un'esperienza positiva e ottimistica. Si tratta di un'usanza che, se ripresa e attualizzata, può aprire alla speranza perchè unisce i due punti di forza della società africana (tradizione e comunità) e, soprattutto, perchè vede gli africani come protagonisti.
Otem Ochristo
Quando veniamo invitati a
partecipare alla celebrazione della Parola la domenica nelle cappelle
siamo contenti, ma a volte non è facile tenere i bambini in chiesa
per oltre due ore seduti nel posto d'onore che immancabilmente viene
dato ai munu (bianchi) e, per altro, senza capire quasi nulla di
quello che viene detto.
Dopo la Celebrazione ci tengono a
offrire il pranzo, ma a noi spiace che debbano fare dei sacrifici per
cucinare la gallina per noi quando i loro bambini la vedono una volta
al mese se va bene!
Così quando Martin ci ha invitato
nella sua nuova cappella dedicata a Comboni per inaugurarla come
laici comboniani, io ero quasi scocciata di dovermi sottoporre a
questa “ritualità”.
Ma quando siamo entrati nella
cappella di Agulurude mi sono commossa nel vedere la semplice
compostezza dell'ambiente e dei fedeli. La cappella è così povera
che le tappe della via crucis sono scritte sulle pareti con il gesso.
Poi le ballerine con la coroncina in tessuto bianco e giallo, e gli
strumenti e gli urli di gioia delle donne. E poi Martin, alto ed
elegante, così bello nella sua veste bianca da catechista, sale
sull'altare alla fine della processione d'ingresso.
Per la prima volta abbiamo capito
(ma solo perché ce lo traducevano in inglese!) cosa si dicono
durante gli interminabili avvisi a conclusione della celebrazione che
di solito mi infastidiscono così tanto!
Hanno parlato di una donna della
comunità che è stata ricoverata e hanno ringraziato tutti quelli
che l'hanno aiutata in questo momento difficile, poi hanno fatto
l'asta dei prodotti portati all'offertorio. Prima di tutto una
gallina portata da un uomo che la offre alla cappella dove presto si
sposerà, poi uova e un mazzo di “greens” (erbette) che non ci
siamo lasciati scappare.
Ancora hanno parlato della scuola
che verrà aperta nel villaggio e di molte altre cose relative alla
comunità.
Insomma la celebrazione della
parola non è solo un momento di preghiera, ma è il momento in cui
tutto il villaggio viene messo al corrente della “vita pubblica”
del villaggio stesso, in un certo senso è anche un'assemblea
politica. Immaginate l'importanza di queste comunicazioni per persone
che per la maggior parte non parlano inglese e non si allontanano mai
dal loro villaggio (se non raramente e con grandi sacrifici). Lì in
quel momento si discute di tutto ciò che ha una rilevanza per la
loro vita: sicuramente a loro non importa della politica nazionale o
internazionale; dell'andamento della borsa o di terremoti e
cataclismi avvenuti in altre galassie rispetto al loro mondo.
Durante l'immancabile pranzo a
base di polenta, fagioli e gallina (consumato con le mani con grande
piacere dei bambini) ci hanno spiegato che ogni Parrocchia è
suddivisa in cappelle ciascuna delle quali ha la propria chiesa che
può essere facilmente raggiunta a piedi da tutti i fedeli. Ogni
cappella è guidata da un catechista e da alcuni consiglieri ed è
suddivisa in “cells” (celle o cellule) dette anche Small
Christian Comunity (secondo quanto indicato durante il primo sinodo
africano).
Ogni cell si ritrova
settimanalmente attorno alla parola di Dio e poi per discutere i
problemi della comunità: i bisogni dei malati, chi deve chiedere un
trasporto, chi deve vendere il raccolto...
Queste assemblee vengono dette
“otem ochristo”: nella cultura Lango otem era la riunione del
villaggio attorno al focolare dove gli anziani raccontavano storie
della tradizione popolare per trasmettere gli insegnamenti ai più
giovani. Il sinodo ha ripreso questa tradizione dando l'indicazione
che ora il centro dell'assemblea sia Gesù e la sua Parola.
Detta così sembra molto bello, ma
bisognerebbe poi vedere quale impatto reale ha questa assemblea sulla
vita della comunità.
E' significativo anche che venga
ripreso un elemento tradizionale forte che sicuramente i lunghi anni
della guerra e dell'instabilità avevano distrutto: quando a dominare
sono la paura per i rapimenti, l'odio e la vendetta certo non è
possibile sedersi attorno al fuoco.
Questo mondo che a prima vista
appare semplice ed estremamente povero, quasi misero, racchiude una
complessità che probabilmente pochi di coloro che vengono da fuori
colgono anche dopo tanti anni. A ciò si sovrappone l'ulteriore
influenza esterna subita per oltre 150 anni spesso violenta e
irrispettosa: quella degli esploratori e dei coloni, ma anche dei
missionari e dei cooperanti e poi ancora quella dei neo-coloni.
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